Intervista all’artista multimediale Rosangela Betti
a cura di Andrea Schneider e Pamela Proietti
Rosangela Betti: fotografa eclettica, trasgressiva, luce e ombra nella sua essenza più pura. Le tue opere catturano chi le osserva lasciando nude riflessioni, solitudini e vicinanze, creando un luogo dove non esiste spazio né tempo se non quello della nostra mente. Un gioco di specchi in cui la verità emerge dirompente dal riflesso. Tu ti definisci artista multimediale. Cosa intendi?
Faccio uso di tutti i mezzi che la tecnologia mette a disposizione, penso che l’arte debba essere divulgata. Per questa ragione ho creato un sito web, documento le mie attività su Youtube, descrivo i miei stati d’animo su Facebook e altro ancora. Non tralascio nessun mezzo che possa consentire ogni forma di espressione.
Oltre la fotografia hai sempre supportato artisti emergenti spaziando nel mondo della scrittura, della musica e delle performance di arte contemporanea. Tra i vari progetti che hai sviluppato ce n’è uno in particolare che ti sta molto a cuore: l’Officina Betti, una location suggestiva dedicata a mostre, presentazioni, eventi, stage, cerimonie, matrimoni gay. Uno spazio dove potersi esprimere liberamente che potremmo definire la Factory italiana. Cosa rappresenta per te l’Officina Betti?
Ho dato vita a Officina Betti un anno fa. Officina Betti è una location dedicata alla libera espressione artistica di giovani emergenti e non. In piccolo rappresenta l’idea di un altro progetto molto più ampio, originariamente Pensieri Solidi e successivamente ribattezzato Arts&Crafts, progetti che possono essere visionati nel mio sito web www.rosangelabetti.it. Inizialmente la Comunità Europea era disposta a finanziare questi progetti ma successivamente non ho più avuto alcun segno, non ho ricevuto nessun valido aiuto e in Italia il supporto alla cultura e all’arte fanno… si può dire? schifo! Come fosse una cosa che non ci appartiene per essere continuamente boicottati e distratti da altro, dimenticando che, con la Grecia, siamo stati la culla dell’arte. Ci si inchina allo scialbo e al vuoto, al trash che quotidianamente ci sommerge. Mi chiedo spesso perché, tutto questo mi distrugge.
Autodidatta, nasci artisticamente come scultrice e pittrice, successivamente fotografa. Mostre in Italia e all’estero, libri e collaborazioni con scrittori, articoli che riguardano te ed il tuo lavoro rintracciabili su riviste del settore e quotidiani d’importanza nazionale. Insomma, possiamo dire una donna consacrata all’arte. In questo momento storico dove essere artista a tutto tondo può apparire un’utopia d’altri tempi, tu, con la tua lunga carriera, smascheri questo luogo comune. Qual è il segreto?
Vorrei saperlo anche io!
Nella tua lunga carriera hai fotografato personaggi famosi come Marina Ripa di Meana, Erri De Luca, Giancarlo Giannini, Gian Maria Volontè, Lory Del Santo, Pino Insegno, Antonella Elia, Mario Luzi, Isabella Santacroce e ogni tipologia di nudo: maschi, femmine, lesbiche, gay, trans. Cosa ha rappresentato agli inizi della tua carriera, sei mai stata discriminata per questo e in quanto donna?
Lory dal Santo, Giancarlo Giannini, Gian Maria Volontè sono miei amici. Ho fotografato loro e le persone che casualmente incontravo, gli amanti o per lo più pseudo tali, tutto lo scibile umano che amo e odio nella stessa misura. Tutto è iniziato inconsapevolmente nel 1976. Ho ricevuto in regalo una macchina professionale dall’unico uomo che ho amato e a tutti gli amici che entravano a casa mia dicevo lorospogliati che ti fotografo. Successivamente, dal 1980 ho dato una nuova forma alla mia fotografia, fotografavo e facevo le stampe ma l’imprinting è rimasto lo stesso.
La maggior parte dei soggetti fotografati sono donne perché rappresentano l’altra me. I maschi li ho fotografati solo per la visione estetica del loro corpo. I trans per un’altra parte ancora di me. Parallelamente fotografavo me stessa, il lavoro che ritengo più importante. Certo, non è stato facile e non lo è tuttora ma non lo attribuirei al fatto di essere donna ma proprio, ripeto, a una mancanza di cultura e di interesse verso ogni forma d’arte. Potremmo vivere di solo turismo per le opere artistiche che i nostri avi ci hanno lasciato e invece guarda come vengono sfregiate ogni giorno e guarda come siamo ridotti. L’Italia è un paese costituito principalmente da bigotti moralisti, fascisti e politici ladri governati dal Vaticano. Amen.
Sei amante della fotografia analogica in bianco e nero. Che spazio può trovare nel 2015 nell’era dell’iPhone, di Facebook e di Twitter? Hai mai usato una macchina digitale?
Sì, la uso un po’ come la usano tutti, intendo per l’immediatezza, vedo qualcosa che mi colpisce, la fotografo, e in questo senso uso anche il cellulare, la posto su Facebook ma se devo descrivere una mia emozione, un mio stato d’animo o fare un set fotografico, uso rigorosamente l’analogico. Credo che solo gli appassionati di fotografia usino l’analogico, devi avere un profondo amore, ormai scorre tutto così velocemente… un giorno saranno le immagini a divorare noi.
Quando si parla di fotografia, si pensa in primis allo scatto e all’elaborazione in digitale che porta immediatamente all’immagine finale. Tu resti legata alla camera oscura, all’elemento creativo che nasce e si sviluppa nel momento successivo alla posa, vivendo il set fotografico come una simbiosi che lascia uno spazio ridotto al pensiero poiché è l’azione a sublimare. Qual è il meccanismo? Cosa si cela dietro le quinte di una tua fotografia?
La chambre noir è l’apoteosi dello scatto analogico. Mi viene da dire che quello che vede la macchina fotografica il tuo occhio non lo vede. Rimani sempre meravigliato e folgorato. Consiglierei a tutti i giovani di non drogarsi e di uscire da questo vivere virtuale: entrate in una chambre noir. Gli acidi e le immagini che appaiono pian piano su un foglio bianco, ti mandano in estasi meglio di una droga chimica.
Progetti in corso?
Tanti e nessuno. Tanti perché non riesco a contenere le idee che ogni giorno mi sovrastano e nessuno perché mi sembra di rincorrere una chimera. Mi piacerebbe, però, trovare i fondi necessari per la realizzazione di Art&Craft, una sponsorizzazione, o un appassionato d’arte che faccia una cospicua donazione!
Biografia, riferimenti e contatti:
Rosangela Betti nasce a Mercatale-Sassocorvaro (PU) il 27 ottobre 1946. Studia alla scuola d’Arte F. Mengaroni di Pesaro ma non termina gli studi. È autodidatta in tutte le sue forme espressive. Vive e lavora a Rimini. 1968: prima mostra di pittura a Pesaro. 1980: nata come pittrice e scultrice, inizia ad esprimersi tramite la fotografia. 1982: prima personale di fotografia alla galleria Ken Damy a Brescia Le sue fotografie sono state pubblicate su varie riviste di settore e non, in Italia e anche in Giappone. Hanno scritto di lei: Italo Zannier, Giovanna Calvenzi, Roberta Valtorta, Giuliana Scimé, Roberto Mutti, Paolo Barbaro, Denis Cur-ti-Ken Damy, Ando Gilardi. Vari articoli che parlano dei suoi lavori sono stati pubblicati su importanti quotidiani quali La Repubblica, Corriere della Sera, L’Unità, Il Resto del Carlino e settimanali come L’Espresso.